Ricordiamo con gratitudine la carissima amica Monia con le parole condivise alla fine del suo intervento con cui dava inizio al percorso di reciprocità «Da to cure a to care» promosso dall’Associazione-Consultorio la Famiglia, dall’Associazione Amici di Agostino e Angelamaria con l’adesione di Apito in compartecipazione con l’Ambito Territoriale e Sociale n. 6 e con i comuni che ne fanno parte.
Custodiamo queste parole come un invito forte per continuare a far camminare le sue idee ed esperienze sulle nostre gambe:
«Noi essere umani non esistiamo senza la cura, nasciamo come esseri “mancanti” e viviamo, al contrario di tutti gli altri esseri viventi, una lunga fase di mancanza che si correla poi con la debolezza.
L’inizio è come la nostra fine! Siamo fragili, lo siamo stati e lo saremo sempre perché non siamo sovrani sul nostro corpo: la fragilità è la condizione ontologica dell’esistenza umana. Siamo esseri “fragili” perché non abbiamo nessuna possibilità sul nostro essere; siamo “vulnerabili” perché sottoposti alle azioni degli altri e feribili dall’altro. Nel bene la nostra vita è segnata dalla cura.
Emerge chiara davanti a questo tempo segnato dall’individualismo e dalla “colonizzazione dell’indifferenza” che sta a noi cittadini prenderci cura dell’altro. E così anche delle istituzioni: pungolarle se occorre affinché facciano del “bene pubblico” e mettano realmente il bene comune prima di tutto. E come si fa ad essere attenti al bene comune se non partendo dai soggetti più deboli, fragili, vulnerabili, feriti?
In un clima dove si rischia di aver paura di chi ci sta vicino (femminicidi, pedofilia, immigrazione …) dobbiamo chiederci “Qual è il bene dell’altro?”. E questa ricerca sarà utile per la città e sarà un bene comune.
Ancora una volta la relazione di cura ci fa scoprire che noi esseri umani abbiamo dei limiti ma contemporaneamente ci spinge a comprendere l’altro e comprenderlo significa far costruire, generare azioni, anche dal territorio e dalle persone che ci circondano.
Prendersi cura è avere una marcia in più, è un percorso di felicità.
Da questo primo incontro è emerso il valore dello stare insieme e dell’incontro e di come possiamo stare bene se mettiamo la cura al centro della nostra vita.
È un messaggio forte per la nostra città di Fano, il cui nome viene dal latino “fanum” che significa tempio. Abbiamo bisogno di un mondo in cui non esista più che sta dentro il tempio e chi sta fuori dal tempio (= pro-fani); abbiamo bisogno di “agorà”, di piazze in cui tutti possano sentirsi accolti e presi per mano. Senza pretese di cambiare il mondo, ma solo con il desiderio di camminare accanto ad ogni uomo è il senso del nostro percorso sulla cura. L’impegno per i numerosi presenti è quello di tradurre con fantasia e in maniera comprensibile quanto hanno ascoltato iniziando ad avviare processi più che a possedere spazi».